Quest’oggetto metallico dalla forma conveniente potrebbe essermi utile questa notte. Afferro l’oggetto e lo ripongo nella tasca posteriore, mi avvio all’uscita della stanza e chiudo la porta a chiave.
Le tenebre sono ormai calate sulle strade di questo paese, illuminato solo da qualche lampione sparso qua e là.
Bene, ho un intero paese da esplorare e non so da dove iniziare.
Destra o sinistra… Quale direzione prendo? Lascerò decidere alla sorte. Prendo una moneta da una tasca dei pantaloni e la lancio, forse con un po’ troppa energia.
La moneta, intenta a roteare su sé stessa, sale per circa quattro metri; seguo con lo sguardo il suo scintillio metallico afferrandola poi al volo.
Se è croce andrò a sinistra, altrimenti prenderò la strada a destra.
Apro la mano lentamente per scrutare il risultato del sorteggio; la moneta è rivolta a faccia in su. È croce, si va a sinistra.
Cammino per circa venti minuti, avrò percorso almeno due chilometri. Osservo tutto ciò che mi circonda come se fosse la prima volta che lo vedo, e in effetti è circa così.
Un gatto attraversa la strada zampettando veloce; il colore del suo pelo è simile a quello del sole.
Con un balzo, sale su di un muretto di pietra alto poco più della metà di me, e lo ridiscende scomparendo nel buio. Anche lui come me è a caccia della sua preda.
Mi guardo intorno: i marciapiedi sono ancora umidi a causa della pioggia di poche ore prima. Nei pressi di un lampione vi è un cassonetto ribaltato, una parte del suo contenuto è riversa lungo la strada.
Un vento gelido scuote le foglie e i rami degli alberi posti ai lati della strada, generando un lieve sibilo. Continuo a camminare ancora per qualche minuto. Ho le mani e il viso intorpiditi dal freddo.
Ad un certo punto intravedo in lontananza una sagoma umana. «Eccoti, ti stavo aspettando,» bisbiglio con voce malefica, «chiunque tu sia è giunta la tua ora.»
Mi avvicino, come un’ombra oscura e con passo furtivo verso l’umanoide, celando il più possibile la mia presenza.
La luminosità dell’ambiente circostante è un fattore cruciale in questi casi. L’essere umano non è in grado di vedere in assenza di luce, e tende a confondere le forme quand’essa si affievolisce.
«CRAC» abbasso velocemente lo sguardo, mi accorgo di aver pestato una lattina.
L’umano sta per voltarsi; non posso permettermi di essere visto, ciò manderebbe a monte i miei piani.
Alla mia destra intravedo un’auto parcheggiata, con uno scatto mi porto dietro di essa celando la mia presenza. Non dovrebbe essersi accorto di me, sono stato abbastanza rapido nonostante il corpo che mi ritrovo.
Il mio sguardo resta vigile, per qualche secondo, cercando di captare possibili variazioni nel comportamento della mia preda.
L’essere sembra voltarsi, non del tutto però, evidentemente il suono generato dalla lattina non deve avergli causato alcun sospetto.
Quanto sono ingenui gli esseri umani.
La mia vittima continua a camminare barcollante per le strade del paese, senza preoccuparsi di nulla. Si stringe nel suo cappotto e sistema la borsetta sulla spalla.
La battuta di caccia continua, mi rimetto all’inseguimento.
I suoi lineamenti e le sue forme hanno dei tratti completamente diversi dal dottor Frederick. Dai suoi lunghi capelli, mossi dal vento, proviene un odore dolciastro. Dev’essere una femmina.
L’umana è intenta a frugare meticolosamente nel suo accessorio, che si tratti di un’arma?
Non è possibile che mi abbia scoperto, sono stato molto cauto fino ad ora, e inoltre lei non appare affatto turbata.
Ad un tratto la vedo svoltare in uno stretto e macabro viale, illuminato soltanto dalla fioca luce di un lampione.
Oramai sono all’angolo della strada, meglio essere prudenti da questo momento in poi.
Mi avvicino e mi pare di sentire un altro odore, questa volta più familiare.
L’alito di questa femmina, ha lo stesso odore che sentii quella volta in cui il dottor Frederick sorseggiava uno strano liquido. Mi pare l’avesse chiamato “vino”.
Ricordo che quella volta il dottore aveva anch’egli atteggiamenti similari: non era particolarmente reattivo, i suoi riflessi erano rallentati.
L’umana getta qualcosa a terra. Ha tutto l’aspetto di una cartaccia. Sento che sta masticando qualcosa, un nuovo odore pervade l’aria mescolandosi al precedente.
A quanto pare l’umana è totalmente inoffensiva, la mia cautela è del tutto infondata, farei meglio ad agire.
Il mio corpo inizia a concentrare una quantità elevata di energia nelle gambe. Estraggo il coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni; è il momento.
Con uno scatto fulmineo mi porto alle sue spalle, lo spostamento d’aria creatosi è così forte che persino lei lo avverte, ma non fa in tempo a voltarsi che le sono già addosso.
La trafiggo alla schiena. Un dolce, soave gemito appena percettibile fuoriesce dalla sua bocca. La schiena di lei si inarca all’indietro.
Tenendo ben saldo il manico del coltello, le assesto un calcio, imprimendo con violenza la pianta del piede nella sua schiena. La lama del coltello si sfila velocemente dalla sua carne, accompagnata da uno schizzo di sangue.
La donna cade a terra perdendo i sensi. Sul suo cappotto si forma una chiazza rossastra che si espande poco a poco.
Questo è l’odore del sangue!
Mi sento pervaso da un irrefrenabile istinto omicida e ricomincio a trafiggere violentemente il corpo di lei con tutte le mie forze. La colpisco di nuovo; ancora, ancora e ancora.
Il sangue, di colore rosso vivo, sgorga sotto forma di un getto intenso e sincrono con il suo battito cardiaco. Un’arteria è stata appena trafitta.
Sento qualcosa scorrermi tra le mani: è sangue, il suo sangue, è così caldo.
Questa è la sensazione che si prova quando si estingue una vita. Guardo le mie mani sporche, intrise dell’odio che provo nei confronti di questa inutile razza.
Mi rimetto in piedi e tiro un calcio al corpo, ormai privo di vita, scaraventandolo a qualche metro di distanza. Mi volto e come se nulla fosse m’incammino.
Chissà cosa penseranno i suoi simili quando vedranno quel corpo steso sull’asfalto. Probabilmente fingeranno di non notarlo o se ne staranno a debita distanza, senza battere ciglio. Tipico della razza umana.
L’essere umano sin dalla sua nascita è sempre stato egoista; ogni pensiero, ogni suo gesto, ogni azione che compie, tutto è fomentato dal desiderio di accrescere la propria figura, non curandosi del prossimo. Io, io e soltanto io, non c’è posto per nessun’altro.
Non ha rispetto per la natura, non ha rispetto per gli animali, non ha rispetto nemmeno per i suoi simili.
Sentimenti come l’odio, l’invidia, la cattiveria, sono tutti profondamente radicati nell’animo umano. Dopotutto, io lo so meglio di chiunque altro.
Mentre continuo a camminare, intravedo in lontananza un gatto con una preda tra le fauci. Ma sì, è proprio lui. Da quel che vedo anche per te è stata una buona caccia stasera, eh gatto sole?
Qualche minuto dopo sono nuovamente a casa.
Devo togliermi questi abiti intrisi di sangue e darmi una bella ripulita, altrimenti John potrebbe insospettirsi.
Infilo la chiave nella serratura, mi svesto e ammucchio in un unico blocco gli abiti che poi lancio in giardino.
Questa, è la prima volta che commetto un omicidio. Estinguere la vita di un misero umano mi fa sentire bene.
Apro la porta, tenendo le scarpe fra le mani, e mi dirigo in bagno. Poggio le scarpe nel lavabo ed entro nella doccia.
Laverò via tutte le macchie di sangue e lo sporco presente sul mio corpo. John non dovrà accorgersi di nulla.
Apro il rubinetto e resto sotto al getto d’acqua, finché le ultime tracce di sangue rimaste non scivolano via. Esco dalla doccia, afferro un asciugamano e lo lego in vita. Prendo nuovamente le scarpe, e con una spugna le sfrego, rimuovendo tutte le macchie.
Dopo aver sistemato il bagno alla meglio, salgo le scale e rientro nella camera da letto. La TV è ancora accesa, e di fianco al letto vi è il pigiama di John su di una sedia. Sistemo le scarpe al lato del letto, indosso il pigiama e mi corico.
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